martedì 15 settembre 2015

Der Afro


Der Afro

Raimondo Pasqualotto


“Il diritto dei ragazzi è divertirsi come pazzi,
stare con gli amici,
giocare a palla o andare in bici.
Poi c’è il diritto di non essere un campione
fidati, è bello fare sport anche se sei uno scarpone.”
Letizia Pasqualotto



Figlio di una romagnola e di un impiegato amministrativo tedesco, cresce nella cittadina bavarese di Freilassing, nella quale inizia a giocare a calcio nel settore giovanile. Riuscirà, con applicazione ed impegno, ad entrare nel giro delle Nazionali giovanili dove conosce Uli Hoeness, con il quale stringe una profonda amicizia.
Raul Breitznel è un ex calciatore tedesco occidentale, terzino sinistro e successivamente centrocampista della Nazionale tedesca negli anni settanta e primi anni ottanta. Ha vinto l’europeo del 1972 e il mondiale del 1974, vice-campione del mondo nel 1982, per la cronaca quello vinto dagli azzurri di Bearzot. Durante la sua lunga carriera è stato spesso oggetto di numerose polemiche. Considerato come uno dei più discussi calciatori tedeschi è stato inserito da Pelé nella lista del FIFA 100, l’elenco dei migliori cento calciatori viventi. Bisogna ricordare che Raul Breitznel, dopo il mondiale del 1974, si trasferì per una cifra vicina a tre milioni di marchi al club spagnolo del Real Madrid. Il trasferimento ai Blancos attirò molte critiche: Breitznel, infatti, politicamente orientato a sinistra, si recò a giocare in un club notoriamente vicino al dittatore fascista Francisco Franco detto el Caudillo.
Breitznel si mostrò, sin dall’inizio degli anni settanta, vicino agli intellettuali rivoluzionari, manifestando ideologie di sinistra. In una foto d’epoca venne ritratto con il libretto rosso di Mao Tse-Tung. Anche il look era molto particolare per quei tempi: folta capigliatura e barba lunga, per la quale era soprannominato “Der Afro”.
Oggi lavora come osservatore per il Bayern Monaco.

sabato 12 settembre 2015

Solea


Solea

Manuela Bertulli

“Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra, fu tutto.
E non sarà mai rubato quest’unico tesoro
ai tuoi gelosi occhi dormienti...
L’insegna paurosa non varcherà mai la soglia
di quella isoletta celeste.
E tu non saprai la legge ch’io, come tanti, imparo,
e a me ha spezzato il cuore: fuori del limbo non v’è eliso”
 E. Morante, Dedica a Remo N., in L’isola di Arturo, Einaudi, 1957.



Erano un gruppetto di “mocciosi”, ognuno con un’espressione diversa e un sogno differente da realizzare. Li accomunava però la vivacità, la curiosità e l’innocenza dei loro quattro anni. A quell’età si erano conosciuti in un asilo al confine tra Bollate e Cassina de’ Girasoli. La scuola materna era lì da quasi cinquant’anni e, nel pieno della sua maturità, li aveva accolti e coccolati. Come l’asilo, anche loro erano nati in quella “terra di mezzo” dove, se stai al di qua,  sei “rispettabile”, mentre, al di là, non sei più “credibile”, sparisci nella “Corea” delle vecchie case popolari e rischi di perderti nel “bosco” frequentando compagnie poco raccomandabili (“Attenti al lupo!!!”).

mercoledì 9 settembre 2015

Sportivi eclettici


Sportivi eclettici

Simone Oggioni

Sei sono le parti del discorso: l’esordio, con il quale si capta la benevolenza dell’uditorio, l’esposizione dei fatti, la posizione che si intende prendere, le argomentazioni a favore e contro. Infine, dopo aver riassunto gli elementi anteriori, il sollecito alle emozioni del pubblico.
Naturalmente, in questo breve scritto non intendo prendere in considerazione questa metodologia. Ciò di cui ho intenzione di occuparmi, invece, è una narrazione in sequenza di episodi che testimoniano, in termini sportivi, la mia ecletticità.
Chi nell’arte o nella scienza non segue un determinato sistema o indirizzo, ma sceglie e armonizza i principi che ritiene migliori, viene definito eclettico. Io credo, in tal senso, di potermi definire uno “sportivo eclettico”. Mi sono cimentato, infatti, in diverse discipline e, pur senza eccellere in nessuna di queste, ho sempre tentato di attingere “il meglio” da ogni esperienza, senza preconcetti e rigidi schematismi mentali. Un po’ per vocazione, un po’ per la voglia di provare nuovi sport, non ne ho mai praticato uno in particolare ma, in compenso, ne ho provati tanti.
Nella provincia di Milano, negli anni settanta e ottanta del secolo scorso, non c’era né una grande attenzione allo sport né, come oggi, una capillare presenza di società sportive sul territorio. L’orientamento e gli stimoli a migliorare ci arrivavano, quindi, direttamente dagli “eroi” che guardavamo in televisione.

domenica 6 settembre 2015

La vita è un “ciclo”


La vita è un “ciclo”

Carlo Braga
   

 “Hai voluto l’olandese? Ora pedala!!!”
 Henry di Haarsteeg




«E Berlusconi?» Sorrisino. «Cosa mi dici di Berlusconi?»
Quest’anno avevo proprio il timore di sentirmi porre questa domandina. Mia moglie è olandese e, come tutte le estati, ci rechiamo in vacanza per una settimana nel suo paese a fare visita a parenti, amici e mucche. Un posto fantastico, a misura d’uomo e di donna, dove tutto funziona alla perfezione, i bambini giocano per le strade e le auto si fermano per farli passare... e soprattutto chi va in bicicletta gode del massimo rispetto.
Capirete... noi viviamo a Milano dove è tutto il contrario!
Poi ci sono gli olandesi, gente veramente molto simpatica, grandi amici, persone superaffidabili, molto ospitali (sì, molto più dei milanesi) ma con un tantino (eufemismo) di egocentrismo e di onnipotenza che credo non abbia paragoni nelle altre nazioni europee. Loro sanno fare tutto meglio degli altri, loro sono più bravi in tutto, loro sono “i campioni del mondo” e devono sempre dimostrartelo, con le parole e i fatti. E con il sorrisino. Sì, con il sorrisino perché se malauguratamente ti capita di sbagliare, anche solo un accento, nella pronuncia della parola più difficile del loro vocabolario, prima ti correggono e poi fanno quel sorrisino irritante che vuol dire: “Ok, va bene ugualmente perché sei mio amico ma tu non capisci nulla o quasi, si vede che sei italiano, noi non sbagliamo mai e noi siamo semplicemente molto, ma molto più bravi di te”.

venerdì 4 settembre 2015

Pioggia miracolosa


Pioggia miracolosa

Gian Luca Tavecchia


Faceva caldo, troppo caldo, veramente caldo. Era solo il 10 giugno ma il sole martellava come un fabbro impazzito e l’incudine era la sua testa. Si era dimenticato il cappellino con visiera rossonero e ormai non ce la faceva più.
A dir la verità non era stata una dimenticanza casuale, portarsi il cappellino milanista al campetto sarebbe stato troppo pericoloso. Sicuramente Gigi e Geppe glielo avrebbero rubato, calpestato, infangato e allora addio cappellino del Milan.
Quei due quindicenni, alti una spanna più di lui, con la sigaretta fra le labbra e la bestemmia facile, l’avrebbero deriso e tormentato per tutto il pomeriggio, invece così a capo scoperto ci pensava solo il sole a torturarlo.
Maurizio aveva quattordici anni, faceva il portiere ed era milanista, rossonero fino al midollo, si sentiva il nuovo Fabio Cudicini , il “Ragno Nero”.1
C’era però una differenza sostanziale fra i due: Cudicini era altissimo e magro, Maurizio era basso, rotondetto, un pochino infantile e soprattutto buono come un pezzo di pane.
Era solo il portiere di riserva del Gruppo Sportivo MS, il titolare era Carlo, fratello di Gigi e decisamente più in gamba di lui. Nelle partite importanti restava in panchina e fino ad oggi non aveva mai fatto una partita ufficiale.

martedì 1 settembre 2015

Io sono un mediano. Memorie di un (ex) randellatore


Io sono un mediano
Memorie di un (ex) randellatore

Nicola Chinellato
                   
   
 “Una vita da mediano
lavorando come Oriali
 anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali”
 L. Ligabue, Una vita da mediano in Miss Mondo,1999.



Ho iniziato ad amare il calcio fin dalla tenera età di quattro o cinque anni, nemmeno il tempo, insomma, di affacciarmi alla soglia del 1970. Una passione, la mia, dovuta, ne sono profondamente convinto, a una predisposizione genetica ereditata dal nonno materno, che sul finire degli anni venti del XX secolo aveva militato in serie A, nelle file della mitica Pro Patria. Lo chiamavano il motorino biondo, per via dei capelli chiari e di un’inesauribile propensione alla corsa che lo rendeva imprendibile anche ai più arcigni difensori avversari. Mezzala, ma talvolta anche esterno di centrocampo, ciuffo ribelle, dribbling secco e gamba robusta, il nonno si ritirò ancora giovane, a causa di un grave incidente al costato, solo poco prima di firmare un regale contratto per la Juventus. Circostanza che, nonostante il dispiacere per una carriera prematuramente interrotta, ho sempre pensato fosse un sorta di anticipato tributo d’affetto verso il nipotino, che tempo dopo sarebbe divenuto interista e acerrimo rivale sportivo dei bianconeri. Fu lui a presentarmi il pallone, il rettangolo verde, le scarpette chiodate e le gradinate dello stadio. Era lui, il mio bellissimo nonno, sciupafemmine e comunista, che mi teneva sulle gambe quando, piccolissimo, guardavo le mie prime partite di calcio nel televisore in bianco e nero della sala. Seduto come un pascià sulle sue cosce muscolose, un braccio intorno al collo e l’altro infilato in un pacchetto di patatine, ricordo come fosse oggi il profumo del suo dopobarba e il tono paziente con cui arginava un inesauribile fiume di domande.

domenica 30 agosto 2015

Obama gioca in porta


Obama gioca in porta

Flaminio Oggioni




Giorgio correva veloce verso la porta lontana, volava nella polvere dello sterrato, volava sui suoi piedi magri e nudi, volava come Fasoli, l’ala della Pro Patria.
La mamma, il giorno che lo aveva portato in collegio dalle suore, vicino a Busto, lo aveva consolato: «Dai Giorgio, va’ come è bello qui, c’è il parco, il campo da football e le suore sono brave e poi se hai dei problemi la Carla, tua sorella, è qui con te.»
Giorgio ogni sera andava a letto e piangeva.
Stava meglio a Milano, anche se cadevano le bombe... lì c’erano la mamma, le sorelle, gli amici, il monopattino e il pallone che gli aveva regalato lo zio.
Sì, il pallone! Che passione! Bello, di cuoio stringato, l’unico del cortile.
Al pomeriggio dopo i compiti, tutti lì a correre scalzi dietro la palla e Milano era bella.
La testa si perdeva nella magica atmosfera della partita di pallone. Sparivano le macerie, l’urlo delle sirene e l’odore dei rifugi e il cortile sembrava l’Arena.
«Dai Giorgio, torna a casa, è tardi!» gridava la mamma dal balcone. «Sì, arrivo mamma, un attimo.» Raccoglieva le scarpe lasciate ai bordi del campetto, slacciava il fazzoletto annodato intorno al ditone del piede per calciare più forte e si toglieva la benda sulla fronte che proteggeva dalla stringa del pallone nei colpi di testa.
«Eccomi! Ma, mamma, ancora minestra!»
«Giorgio, mangia la minestra o salta la finestra!»

giovedì 27 agosto 2015

Il cuore di un pugile


Il cuore di un pugile

William Tavecchia


“You’re alone and you know
a few things: the stars are pinholes,
slits in the hangman’s mask.
And the crabs walk sideways
as they were taught by the waves.
You’ll be a dancer with two feet dancing
in the dirt-colored dirt.”

T. Lux, Solo Native in New and Selected
Poems, 1975-1995.



Sono nato in un piccolo quartiere di Napoli nel 1962, non ho mai conosciuto mio padre mentre mia madre era la prostituta del posto. Mio fratello Vincenzo, fan della boxe, a soli quattordici anni possedeva un destro micidiale ma, vivendo in un posto malfamato, dove i ragazzi della nostra età crescevano “malamente”, iniziò ad usare droghe d’ogni tipo bruciandosi la possibilità di diventare un vero pugile.

lunedì 24 agosto 2015

Sta Luigi Re di Francia con tre pulci sulla pancia


Sta Luigi Re di Francia con tre pulci sulla pancia

Maurizio De Filippis

Come ha scritto Eduardo Galeano in Splendori e miserie del gioco del calcio anch’io, come gran parte degli italiani, avrei voluto fare il calciatore. In effetti, da piccolo “giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte mentre dormivo. Durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso sui campetti del mio paese.”1 Pur non avendo abbastanza talento per giocare a pallone in una squadra professionistica, mi sono però sempre cimentato in interminabili confronti calcistici disputati su ogni tipo di superficie disponibile: tratturi brulli e sassosi collocati alla periferia dell’impero calcistico milanese, nastri d’asfalto resi roventi dal solleone, arene improvvisate al largo dei bastioni di Quarto Oggiaro. Lungi dal considerarmi “triste solitario y final”2, ho dato il meglio di me con l’avvento, nei primi anni novanta del XX secolo, dei terreni in sintetico: goleade memorabili nei peggiori tornei da bar dell’Hinterland milanese, incontri calcistici degenerati in ludi gladiatori durante innominabili tornei aziendali, sfide estemporanee disputatesi, presso il centro sportivo Dal Lurido – contro Selecciones de fútbol sudamericane o équipes maghrebine per guadagnarsi, sul campo, la conferma definitiva del diritto di prenotazione acquisito telefonicamente. Prima di appendere definitivamente “le mie amate Puma al chiodo”, ho trascorso sui rettangoli da gioco giornate indimenticabili affrontando e sgominando, insieme alla mia Gang, la “meglio gioventù” di Arese, Bollate e paesi limitrofi in una sorta di Mundialito itinerante.3 Tra le tante, ricordo in particolare due gare disputate in trasferta contro esuli cubani di Calle Ocho e pieds noirs algerini a Miami Beach e a Marseille (“coup de boule à la Plage du Prado”), entrambe finite a mazzate. Naturalmente, non si trattava di trasferte calcistiche vere e proprie, ma di partitelle disputate on the beach contro delle rappresentative turistiche locali “mixate” con elementi indigeni. In anticipo sulla globalizzazione, tali confronti “glocal (global - local)” si tenevano, al calare delle prime ombre della sera, direttamente sulla spiaggia durante lo spring-break legato ai nostri studi universitari o nel bel mezzo delle vacanze estive.

venerdì 21 agosto 2015

Anche Gigi Riva sbaglia i rigori (quarta e ultima parte)

(prima parte) (seconda parte) (terza parte)

Ciao Villapizzone

Il Pelanda era sbarcato da qualche giorno a Linate con un volo charter proveniente da Caracas. Si era trasferito in un paesino di fronte all’isola Margarita dove, dopo una lunga serie di disavventure imprenditoriali tra gelati e aspirapolveri, aveva cominciato a trafficare auto usate. Nel giro di qualche anno era riuscito ad avviare un fiorente commercio di Ford e Chevrolet che, non si sa come, faceva venire da Cuba. Insomma, non proprio un commendatore, ma era arrivato a comprarsi una casetta con tanto di veranda sul mare, nulla a che vedere con la stamberga presa in affitto dietro il benzinaio quand’era appena arrivato. E lì, alla fine, aveva deciso di piantar radici. Lontano anni luce dal campetto del Villapizzone.

martedì 18 agosto 2015

Anche Gigi Riva sbaglia i rigori (terza parte)

(prima parte) (seconda parte)

Una notte piuttosto particolare

Potevano essere le quattro o le cinque del mattino, ma nessuno potrà mai dimenticare la figura ciondolante di Vitellozzo davanti al camino di pietra nel vecchio mulino dei genitori di Bicio. Una cascata di capelli lunghi e neri non riusciva a nascondere la sua faccia obliqua immersa dentro una scatoletta di tonno all’olio d’oliva che teneva in una mano. Con l’altra cercava di adescare gli ultimi tranci, ormai ridotti in poltiglia, con una fetta di salame. Il pizzetto che gli circondava la bocca lanciava riflessi giallognoli che s’illuminavano fin sopra la camicia bianca, pezzata da aloni di grasso. Le gambe divaricate, come avrebbe fatto Sonny Liston sul ring contro Cassius Clay, attutivano un pochino il movimento oscillatorio del tronco, ma ogni vibrazione provocava un terremoto nella scatoletta e l’olio colava lungo le sue braccia come una processione.

giovedì 23 luglio 2015

Anche Gigi Riva sbaglia i rigori (seconda parte)


(prima parte)

Il signor arbitro

Il baretto del Villapizzone stava ormai chiudendo. Luigino, appisolato sul bancone tra una coppa d’ottone e la zuccheriera, smerciava le ultime birrette ai tiratardi dell’ultima partita del venerdì che, dopo la doccia, cercavano ristoro prima di disperdersi nella notte. Seduti intorno ai tavolini, i ragazzi della Visconti polemizzavano con l’arbitro sui momenti salienti della gara: «Signor arbitro, ma perché ha fischiato la mia entrata in scivolata sul numero sette: io ho preso la palla, pulito, e quello non l’ho neanche sfiorato,» attaccò il Bicio, mentre trangugiava la sua birra seduto sul tavolino.

giovedì 16 luglio 2015

Anche Gigi Riva sbaglia i rigori (prima parte)



Anche Gigi Riva sbaglia i rigori

Giovanni Francavilla


Alle mie piccole, grandi donne


Domenica mattina, alle nove meno un quarto, il suono delle campane che annunciavano la Santa Messa arrivava sempre in ritardo a casa di Napo. Lui lo aspettava sdraiato sul letto già vestito, sotto il poster di Cruyff, a sfogliare il suo album delle figurine Panini. Il primo rintocco, intenso e grasso, lo faceva scattare in piedi e correre verso la finestra che, dopo i binari del tram protetti da immensi olmi, si affacciava sul campetto da calcio dell’oratorio. Nelle gelide mattine di gennaio pareva un fazzoletto siberiano di terra e sassi, ma il gesso che delimitava grossolanamente il perimetro del rettangolo di gioco gli dava un tocco un po’ civettuolo. Da giorni aspettava quel momento per decidere quali scarpette portare alla partita del torneo di pallone. Per la prima volta nella sua breve ma intensa carriera di pedatore, infatti, aveva due paia di scarpe da calcio: quelle nuove a sei tacchetti intercambiabili; quelle da tredici fissi un po’ più logore, ma tenute come una reliquia. Le nuove scarpette fiammanti erano il frutto di un incessante pressing sul borsellino della madre e del meticoloso pellegrinaggio tra i negozi di articoli sportivi della zona. Li conosceva tutti ormai e, alla fine, commessi e padroni tolleravano di buon grado le sue incursioni tra gli scaffali e le sue lunghe dissertazioni sulle cuciture del cuoio o sugli attacchi dei tacchetti alla suola. Poteva raccontare pregi e difetti di tutte le marche e modelli, pur non avendole mai calzate.

lunedì 13 luglio 2015

Paolo Rossi era un ragazzo come noi


Paolo Rossi era un ragazzo come noi
Nicola Chinellato



Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. Una semplice formazione di calcio? No, amici, questa è una filastrocca rock’n’roll, un’indimenticabile Glory Days bearzottiana, musica pedatoria per l’impresa calcistica più bella di sempre. Riff potenti, crescendo rossiniano ed epica per invincibili.
Spagna 1982. Campioni del Mondo contro ogni pronostico, Campioni contro tutto e contro tutti, Campioni quando il calcio si declamava in versi, poesia della fatica e del genio. C’erano i due punti, i numeri dieci che illuminavano anche se si giocava al buio, le ammonizioni solo se fratturavi una tibia e gli avversari erano leggende in pantaloncini: la Germania Ovest di Rummenigge e Kaltz, il Brasile di Zico e Falcao, l’Argentina di Maradona, la Francia di Platini, la Polonia di Boniek. Non il calcio livellato e muscolare di oggi, tutto tattica e tavolino, popolato da artisti circensi specializzati in tuffi plateali al primo refolo di vento, ma uno sport capace ancora di affabulare, di creare un immaginario collettivo di imprese mitiche, prodezze balistiche, personaggi naif ed eroi senza macchia e senza paura.

venerdì 10 luglio 2015

Introduzione a La testa nel Pallone di Rino Morales




L’occasione fa l’uomo ladro
Rino Morales



«Accidenti, quanto fa caldo.»
«È vero, speriamo che i ragazzi non soffrano troppo, e che si bagnino in continuazione. Non vorrei che si prendessero un’insolazione.»
«Ma no, vedrete che giocheranno come hanno sempre fatto, dando il massimo, secondo le loro abitudini. E si divertiranno. Piuttosto, offrimi una sigaretta, le mie le ho lasciate in macchina.»
Sabato, primo giugno 2013, siamo sulle gradinate del campo di calcio dove i nostri figli, Lorenzo, Luca e Marco, giocano a calcio, per assistere alla partita di chiusura dell’ultimo torneo estivo della loro squadra.
Io, Carlo e Maurizio.

giovedì 9 luglio 2015

Si riparte dal passato

Capita che prima di avventurarsi in una nuova esperienza, in un nuovo viaggio, si vada un po' a ripercorrere quello che è già capitato, anche per capire da dove si è partiti.
Noi di Allora Blu ci siamo messi in cammino da qualche tempo percorrendo una nuova strada e perciò ci sembra giusto ricordare da dove tutto è cominciato.
Nel novembre del 2013 veniva pubblicata, per le edizioni Dalla Vigna, la nostra prima fatica: La testa nel pallone, storie di calcio e dìaltri sport. Sono rimaste poche copie disponibili di quel libro, alcune si possono trovare in qualche biblioteca. Vogliamo approfittare del periodo estivo, quello dove in teoria abbiamo più tempo libero, e pubblicare i racconti scritti da dodici autori che ancora non si erano formati in gruppo e nominati Allora Blu...
Li pubblicheremo a puntate, un po' come facevano i quotidiani anni fa.
È anche un modo per tenervi in contatto con noi che, tra una puntata e l'altra, magari vi terremo aggiornati sul futuro, su ciò che sarà...
Ci sembra giusto e doveroso iniziare con la prefazione scritta da Sergio Giuntini, giornalista, insegnante e membro del consiglio direttivo della Società Italiana di Storia dello Sport.
Domani pubblicheremo l'introduzione scritta da Rino Morales e da lunedì ogni due o tre giorni posteremo i racconti de La testa nel pallone.
Non ci resta che salutarvi, auguravi buona lettura e... buon viaggio!

sabato 14 marzo 2015

Il viaggio

IL VIAGGIO



Dimmi l'accorto eroe, Musa, che tanto
Errò, poichè le sacre a terra sparse
iliache mura, che di molte genti
Visitò le città, l'indol conobbe;
Che sul pelago ancor patì nell'alma 
immensi affanni, onde raddurre in salvo,
Se medesmo esponendo, i suoi compagni.